Editoriali

Mantenere vivo l’impegno contro il perdurante genocidio del popolo palestinese

I numeri della pax trumpiana dopo l’accordo per il cessate a fuoco nella Striscia di Gaza sottoscritto la notte dell’8 e 9 ottobre scorso? Oltre 350 palestinesi assassinati, in buona parte minori, donne e anziani durante 500 raid delle forze armate israeliane. L’IDF spara ovunque, da nord a sud, a Gaza City, Rafah e Deir al Balah, contro i campi profughi di Khan Younis e le piccole imbarcazioni che tentano di riavviare la pesca a poche centinaia di metri dalla costa. E nella Striscia di Gaza si continua a morire di fame e malnutrizione: il valico di Rafah con l’Egitto rimane sigillato da mesi, i camion autorizzati a fare ingresso nella Striscia sono pochissimi e i generi alimentari distribuiti alla popolazione sono del tutto insufficienti.

Il genocidio a Gaza prosegue mentre cresce esponenzialmente l’offensiva israeliana contro i palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata illegalmente dal 1967. Dal 7 ottobre 2023 a fine novembre 2025, nel silenzio dei media mainstream, almeno 1.100 persone sono state uccise e altre 11.000 ferite durante le incursioni armate dei militari, dei poliziotti e dei coloni dello Stato sionista. Secondo il rapporto pubblicato a metà ottobre dalla Commissione governativa palestinese per la Colonizzazione e la Resistenza (CRWC), negli ultimi due anni le forze armate di Tel Aviv hanno condotto 38.359 attacchi e aggressioni nei confronti della popolazione palestinese cisgiordana. Contemporaneamente è cresciuta la militarizzazione del territorio (eretti 114 avamposti e 243 nuove barriere militari), sono stati espropriati e sequestrati oltre 5.500 ettari di terra e legalizzati gli insediamenti di 46 entità coloniali. In barba al diritto internazionale, le autorità governative israeliane hanno approvato 355 programmi di insediamento abitativo per i coloni in 3.00 ettari di terreno confiscati ai palestinesi per realizzare 37.415 edifici, principalmente nell’area di Gerusalemme.

Campi e coltivazioni vengono impunemente incendiati e distrutti (quasi 800 gli incendi dolosi nell’ultimo biennio) e 3.853 persone sono state costrette ad abbandonare le loro abitazioni. La pax trumpiana ha legittimato l’escalation della “pulizia etnica” in West Bank: ancora la CRWC ha documentato ben 2.144 assalti armati israeliani contro proprietà palestinesi, in buona parte concentrati nei governatorati di Ramallah, Betlemme e Nablus. Inoltre è stata avviata la più grande campagna di sradicamento di alberi d’ulivo mai scatenata nella storia post-occupazione 1967: nei primi nove mesi del 2025 sono stati danneggiati o abbattuti quasi 50.000 alberi, di cui oltre 37.000 ulivi, simbolo di resistenza e attaccamento alla madre terra.

In tutti i Territori occupati ci sono stati più di 21.000 arresti e perlomeno 10.800 palestinesi sono ancora detenuti nelle carceri speciali israeliane, sotto tortura e maltrattamenti, privati di assistenza medica e legale. Un recente report di Medici per i diritti umani-Israele (Phri) ha denunciato la morte di 98 prigionieri politici palestinesi, il più alto degli ultimi decenni.

Ancora più fosco lo scenario prossimo venturo. Il leader genocida Benjamin Netanyahu si prepara ad incontrare Donald Trump per avviare la “fase due” del Piano Gaza votato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 17 novembre. Il Piano prevede in particolare la costituzione di un “Board of Peace” presieduto dal Presidente USA, che dovrebbe fare da “struttura di governo transitorio” per “coordinare la ricostruzione” della Striscia di Gaza. Il BoPdovrebbe poi guidare una “forza internazionale di stabilizzazione” di 20.000 effettivi da dispiegare a Gaza per la demilitarizzazione di Gaza e il disarmo delle milizie di Hamas, la rimozione degli ordigni inesplosi e il supporto di una neo-costituenda forza di polizia palestinese. Il primo contingente della forza militare dovrebbe avvenire da gennaio ma ad oggi è ignoto quale Paese straniero ne farà parte, oltre a Stati Uniti d’America ed Israele.

In verità l’intero accordo imposto dal paciere armato di Washington e ratificato dalle Nazioni Unite non risponde alla necessità di promuovere realmente il processo di pace, imporre ad Israele il rispetto del diritto internazionale e umanitario e riconoscere il principio di autodeterminazione del popolo palestrinese e la nascita dello Stato di Palestina. Come ricorda la giornalista Eliana Riva su Pagine Esteri, si afferma invece un modello di governance “imposta dall’alto” e “controllata dall’esterno”, con “l’alleato più stretto di Israele che riceve mandato internazionale per assumere funzioni strategiche sul campo”, mentre la ricostruzione è “subordinata a condizioni esterne e non a una partecipazione reale dei residenti”. Gli USA uber alles, signori assoluti e pieni poteri per svolgere le funzioni di “architetti” dei territori e degli Stati, ridisegnandone i confini e le funzioni sulla base degli interessi strategici del capitale transnazionale.

Non è dunque un caso che all’occupazione di più della metà della Striscia di Gaza da parte delle forze armate israeliane e alla cancellazione di Hamas dalla Palestina intende concorrere apertamente il Pentagono. Centinaia di militari sono già stati trasferiti in Israele dagli Stati Uniti d’America e secondo alcuni organi di stampa internazionali, un reparto d’élite di 200 uomini e donne si affiancherà nelle prossime settimane all’IDF per fornire supporto nel settore della logistica, dei trasporti e dell’engineering nella “gestione delle attività” di controllo del cessate il fuoco a Gaza. I militari USA opereranno sotto la direzione dell’U.S. Central Command (CENTCOM), il Comando combattente unificato delle forze armate di stanza in Florida. Secondo il New York Times è già stato avviato l’impiego da parte di reparti misti israelo-statunitensi di droni d’intelligence, rilevamento ed identificazione di obiettivi “nemici” ancora operanti nella Striscia di Gaza. A guidare le operazioni un centro “civile-militare” creato un paio di settimane fa da CENTCOM nel sud di Israele. Con la prospettiva, sempre più evidente, del pieno sostegno di Washington al devastante impegno bellico di Israele in tutto lo scacchiere geostrategico mediorientale.

L’ignobile e guerrafondaia pax trumpiana e il cinismo dei signori della shock economy ci impongono di mantenere inalterati l’attenzione e l’impegno a fianco della resistenza palestinese e di proseguire nelle mobilitazioni e nelle azioni dirette contro i luoghi simboli del sostegno globale al genocidio. Perché non c’è pace senza libertà e giustizia e senza che la libertà e la giustizia siano garantite ed esercitate.

Riprendiamo fiato ma rimbocchiamoci le maniche. E che il 2026 sia un anno di lotte e resistenza, in Italia e in tutto il pianeta.

Contro la censura, contro la guerra

In principio fu Calenda & Picierno. Il blocco della mia conferenza programmata a Torino il 12 novembre al Polo del ‘900, avvenne su richiesta ultimativa di una serie di personaggi del sottobosco politico nazionale (Gori, Calenda, Picierno), richiesta subito accolta, forse con gioia, prima dall’Amministrazione comunale, che in effetti in questi ultimi tempi specialmente, si sta sperticando nella lode dell’Ucraina incurante della corruzione e del nazismo i due tratti essenziali del regime zelenskiano.
Con pronto servilismo, l’ukaze calendian-picierniano fu immediatamente recepito dalla Direzione di quella pubblica istituzione (il Polo del ‘900), che si proclama democratica e pluralista… Ma si sa come sono i “liberali”: ti concedono la parola se pensano che dirai quello che loro stessi vogliono, se invece temono che tu possa uscire fuori dalla corrente principale (il famigerato “mainstream” appunto), se sospettano che tu abbia la competenza a loro sconosciuta, se sono convinti che hai le basi culturali per demolire la loro narrativa farlocca, allor non ti lasciano neppure aprire bocca. Come è accaduto a Torino.
A seguito del “fattaccio”, come ormai noto, abbiamo riprogrammato l’evento, presso il Circolo Arci La Poderosa, e fu una serata memorabile. Su sollecitazione dei partecipanti (circa 500 in presenza, molte migliaia a distanza), quella stessa sera decidemmo di fare un secondo incontro dedicato specificamente, in primo luogo, al tema della censura, della pressione sulla libera informazione, al condizionamento politico-finanziario della ricerca scientifica e così via, in una chiave di smascheramento della russofobia, un concetto che, secondo i miei censori, avrei inventato io, come travestimento del “putinismo”, e che è invece una realtà dei circoli più beceri del nostro Occidente.
Si tratterà di un evento, di ben maggiore rilievo rispetto al precedente, a distanza di un mese con la partecipazione di un parterre eccezionale, che farà da contorno al dialogo che io stesso intratterrò con il collega e amico Alessandro Barbero. L’evento – che si terrà al Teatro Grande Valdocco di Torino – il 9 dicembre prossimo, al di là del numero e del prestigio di coloro che hanno accettato l’invito, nella mia personale prospettiva, vuole proseguire un tragitto, da me già annunciato nelle scorse settimane. Il mio obiettivo è dar vita a un grande movimento contro la menzogna, contro la narrazione unilaterale, contro la censura alla libertà di informazione, di pensiero, di ricerca, contro il tentativo di militarizzare la scuola, l’università, la cultura, contro la pretesa di piegare la scienza agli interessi di chi produce armi per giocare alla guerra: contro tutto ciò che ci sta spingendo a un conflitto con la Federazione Russa, che sarebbe un salto nel vuoto, con prevedibili rischi di annientamento da parte della maggiore potenza nucleare nel mondo.
Perciò questa iniziativa come la precedente si propone anche come una denuncia della russofobia. E vuole essere anche un monito alle classi politiche che, in preda alla follia bellicistica, sono attive “opinionisti”, soldatini e soldatine dell’immenso, grottesco esercito dell’“Armiamoci e partite!”. Ci vadano loro a combattere per un regime nazistoide e corrotto come quello di Zelensky!
Devono ricevere i nostri s/governanti italiani ed europei, il nostro “BASTA!”. Un grido che io personalmente e quelli che sono d’accordo con me, elevo ed eleviamo ed eleveremo nei prossimi mesi, un grido che esprime, ne sono sicuro, la volontà delle masse popolari. Noi non vogliamo la guerra. Non vogliamo gettare nella fornace bellica le nostre vite, quelle dei figli, quelle dei nipoti, quella della intera umanità. Non vogliamo mettere in forse la stessa continuazione della vita sul pianeta terra, perché tale è lo scenario davanti ai nostri occhi, se l’Italia e la UE si infilassero nel vicolo cieco dello scontro militare con la Russia. Vogliamo arrivare a questo?

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