Conflitti, sanzioni e riarmo. Tra rallentamento economico, crisi industriale e perdita di potere d’acquisto dei salari dove, ci stanno portando l’Ue e la Nato? 

Tratto da Cambia il mondo https://cambiailmondo.org/

Il complesso contesto geopolitico attuale

La crisi dell’ordine globale

L’attuale fase geopolitica caratterizzata dalla contrapposizione fra la declinante egemonia mondiale statunitense iniziata con la fine della Guerra Fredda e le aspirazioni del Sud globale a guida Brics+ di ridefinizione delle relazioni su base multilaterale, sta determinando un aumento delle tensioni internazionali e dei conflitti armati, con conseguente sensibile incremento delle spese militari e delle politiche di riarmo.

Stiamo attraversando un’inedita fase nella quale dominano l’incertezza e l’instabilità geopolitica, con i conflitti armati che secondo l’Uppsala Conflict Data Program1 hanno ad oggi superato quota 100, fra quelli combattuti fra soggetti statuali e quelli interni, questi ultimi a loro volta caratterizzati da implicazioni internazionali, come nel caso di quelli in corso in Myanmar, Somalia e Sudan e, nei paesi dell’area del Sahel, Burkina Faso, Mali e Niger solo per citarne alcuni.

Guerre civili sovente originate da crisi economiche, disuguaglianze strutturali e negazione di diritti umani e civili, talvolta a danno di minoranze etniche e religiose e, quasi sempre, sostenute da attori internazionali che mirano allo sfruttamento delle risorse agricole e del sottosuolo. Come nel caso della guerra in corso da anni nell’est della Repubblica Democratica del Congo, dove opera l’organizzazione paramilitare M23 sostenuta dal Ruanda di Paul Kagame2, la quale a sua volte gode dell’appoggio dei paesi occidentali interessati ad acquistare, tramite intermediazione di Kigali, gli ambiti minerali estratti illegalmente nella provincia congolese del Nord Kivu3, rendendosi implicitamente compartecipi del conflitto.

Un rapido sguardo sul Medio Oriente

Storicamente buona parte delle guerre combattute in Medio Oriente affondano le radici nella politica espansionistica di Israele, che non casualmente non ha mai dichiarato i propri confini, e nella pulizia etnica implementata, a danno della popolazione palestinese, a partire dal marzo 1948 a seguito del’approvazione del Piano Dalet da parte della dirigenza del movimento sionista guidato da Ben Gurion4. E dall’occupazione militare, la colonizzazione e la parziale annessione di fatto dei Territori Palestinesi (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est) dopo il giugno 1967.

Tuttavia, negli ultimi 3 anni con il governo di estrema destra del Primo Ministro Netanyahu abbiamo assistito ad una drammatica accelerazione dell’instabilità regionale e del numero dei conflitti con fronti di guerra aperti da Tel Aviv contro Gaza, Siria, Hezbollah libanese, Houthi yementi e, da ultimo, anche Iran 5. Questi conflitti hanno portato alla destrutturazione del cosiddetto “Asse della resistenza” 6, anche a seguito della caduta di Bashar el-Assad in Siria da parte dell’organizzazione Jihadista Hayat Tahrir al Sham (HTS), armata e sostenuta dalla Turchia. Determinando, in tal modo, i presupposti per un riassetto geopolitico dell’area mediorientale a vantaggio di Israele e Turchia, con accrescimento per entrambi dello status di potenza regionale e ampliamento delle rispettive aree di influenza. E, nel caso di Tel Aviv, anche una estensione del controllo militare diretto su porzioni di territorio siriano e Libanese.

Subisce un ridimensionato geopolitico l’Iran per la perdita e la sconfitta dei suoi alleati regionali, rispettivamente Assad ed Hezbollah, anche se ciò non gli ha impedito di uscire militarmente rafforzato dalla “Guerra dei 12 giorni”. Infatti, Tel Aviv, dopo i bombardamenti Usa ai siti nucleari, ha subito accettato la proposta di Trump di “cessate il fuoco” in quanto rischiava di impantanarsi in una guerra di attrito non sostenibile oltre il brevissimo periodo, vista la capacità di resistenza e di risposta missilistica di Teheran 7.

Il quadro geopolitico globale

Come inizialmente accennato stiamo attraversando una fase geopolitica caratterizzata da un incremento delle tensioni internazionali e dei conflitti anche armati, le cui origini sono da ricondursi alla determinazione statunitense di mantenere il proprio ruolo egemonico a livello mondiale, nonostante l’ascesa economica, militare e geopolitica delle potenze emergenti, Cina e Russia in testa.

Un progetto strategico, codificato in atti ufficiali, scaturito da dottrine geopolitiche precedentemente elaborate. Nella fattispecie, uno dei più significativi in tal senso risulta il rapporto ufficiale 2018 della Commissione bipartisan incaricata dal Congresso Usa di elaborare la strategia di difesa nazionale. Il documento in questione parte dall’assioma che dalla Seconda Guerra mondiale gli “Stati Uniti hanno guidato la costruzione di un mondo di inusuale prosperità, libertà e sicurezza. Tale realizzazione, di cui essi hanno enormemente beneficiato, è stata resa possibile dalla ineguagliata potenza militare Usa”. Definita “spina dorsale della influenza globale e sicurezza nazionale Usa“, sarebbe insediata, secondo gli autori, da “competitori globali (Cina e Russia, ndr”) che stanno cercando l’egemonia regionale e i mezzi per proiettare potenza su scala globale”. E in merito a ciò la suddetta Commissione ha ipotizzato due ipotesi di conflitto, prima con la Russia e, successivamente, con la Cina, arrivando alla conclusione, in base agli esisti non favorevoli di tali simulazioni, che “la sicurezza e il benessere degli Stati Uniti sono a rischio più di quanto lo siano stati nei decenni precedenti” 8.

Da questi presupposti origina la visione strategica di continuare ad esercitare l’egemonia mondiale facendo leva sulla superiorità militare, tecnologia, finanziaria e valutaria e, opportunamente, prima che venga significativamente erosa, è necessario affrontare, preferibilmente in modo indiretto, separatamente le due potenze in questione, evitando, peraltro, che realizzino una alleanza strutturata.

In considerazione di ciò, la suddetta Commissione proponeva di aumentare le spese militari di un 3-5% annui soprattutto per incrementare il dispiegamento di forze militari nella regione dell’Indo-pacifico dove “sono attivi 4 dei nostri 5 avversari: Cina, Nord Corea, Russia e (non specificati) gruppi terroristici”. Con l’Iran nel ruolo di quinto avversario, non casualmente bombardato da Trump durante la “Guerra dei 12 giorni”.

Andrea Vento (13 agosto 2025)

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

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