IIl 12 dicembre ci sarà lo sciopero generale indetto dalla Cgil contro la legge di bilancio del governo Meloni, contro la guerra e l’aumento esponenziale delle spese militari, contro i tagli della spesa sociale, contro la precarietà, per chiedere investimenti nella sanità, nell’istruzione e avviare politiche industriali che fermino i processi di deindustrializzazione in atto in Italia.
Scioperare è assolutamente giusto di fronte alle norme contenute nella legge di bilancio e a fronte di quelle che invece sarebbero necessarie e non si sono.
Siamo di fronte a una legge misera, varata in ossequio all’austerità tornata in auge nella Unione Europea e condivisa dal governo delle destre, che, anche per questo, manca delle risorse per affrontare i gravi problemi sociali ed economici che affliggono il Paese.
Manca un intervento serio per arginare la caduta drammatica dei salari diminuiti rispetto a 30 anni fa (mentre negli altri Paesi europei, tranne in Grecia, sono aumentati dal 10 al 130%). In aggiunta il governo si pone come esempio per i padroni con un attacco ai salari dei dipendenti pubblici portato avanti tramite il contratto del triennio 2022-2024, (giustamente non firmato dalla Cgil) che dà aumenti del 6,7% a fronte di un’inflazione consuntiva di oltre il 17%. Risultato: una riduzione secca del valore reale delle retribuzioni del 10%. Tutto ciò mentre permane il rifiuto totale delle destre al governo di introdurre il salario minimo, l’unica misura in grado di affrontare in modo strutturale il tema del lavoro povero e delle disuguaglianze tra lavoratori.
La spesa sanitaria in rapporto al Pil verrà ancora ridotta senza affrontare la drammatica situazione in cui versa tutto il sistema: mancano quasi 100 mila unità di personale tra medici ospedalieri, di famiglia e infermieri; le liste di attesa sono destinate cosi ad allungarsi e le spese dei malati sostenute di tasca propria aumentano vertiginosamente (la fondazione Gimbe ha segnalato che sono arrivate a 41 miliardi); non viene degnato d’attenzione il fatto che ne 2024 5,8 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi (1,3 milioni in più rispetto al 2023).
Le promesse elettorali sulle pensioni (aboliremo la Fornero! ) sono svanite come neve al sole e viene riavviata la progressiva applicazione della Fornero allungando gli anni necessari per maturare la pensione. Sono svanite le promesse sugli aumenti alle pensioni basse in corso che, specie dopo l’abolizione del reddito di cittadinanza, sono una delle cause dell’aumento della povertà assoluta che oramai riguarda 5 milioni e 700 mila persone che il governo insulta riducendo di un terzo il fondo nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (pari a circa 1 miliardo l’anno). Anche sulle pensioni più dignitose, quelle quattro volte sopra la minima (frutto di contributi versati in decenni di lavoro) si continuerà a recuperare miliardi taglieggiando l’adeguamento all’inflazione.
Per quanto riguarda l’economia reale il governo continua erogare risorse alle imprese, magre in assoluto, ma rilevanti rispetto altri non beneficiati dalle risorse, senza vincoli su salari, assunzioni e precarietà; risorse elargite senza alcuna programmazione sulle priorità industriali da seguire; significa che si assiste inerti alla continua perdita di importanti settori strategici lasciati depredare da multinazionali voraci mentre è chiaro da tempo che solo l’intervento pubblico potrebbe rilanciarli salvaguardando l’occupazione e avviando la riconversione resa necessaria dall’avvento del digitale e dalla crisi climatica.
Le misere risorse decise fanno poco sul piano dei risultati economici, tant’è vero che lo stesso governo prevede per i prossimi anni scostamenti del pil dello zero virgola, una quasi stagnazione, pur in presenza degli investimenti del PNRR senza il quale Sarebbe recessione. Per di più quelle risorse sono utilizzate pesantemente per far penetrare nella società l’impostazione ideologica di destra dell’economia di guerra o destinate direttamente all’industria delle armi che riceverà quasi metà del budget stanziato dal Mimit nel triennio 2026- 2028, 10,3 miliardi su 25,1.
I diversi interventi sul fisco sono finalizzati a: ridurre la progressività premiando i redditi più alti, quelli tra 50 e 200 mila euro; detassare gli aumenti contrattuali derivanti dalla flessibilità del lavoro, dando cosi ( in cambio di più sfruttamento ) solo pochi spiccioli a chi ha redditi inferiori a 28 mila euro ai quali si ricordano i precedenti benefici sulle tasse( che però sono stati in gran parte annullati dall’aumento degli scaglioni di imponibile( fiscal drag) che ha permesso allo stato di incamerare tra il 2022 e il 2024 ben 25 miliardi; sono previste detrazioni fiscali diverse distribuite su varie voci del salario accessorio per depotenziare ancora di più i contratti nazionali e rendere i lavoratori sempre più proni al comando dell’impresa.
Non poteva mancare l’ennesimo favore a chi evade e infatti è arrivata la quinta rottamazione delle cartelle esattoriali che finirà in passivo come le altre 4 dalle quali degli 81 miliardi millantati in fase di previsione solo 48 sono quelli entrati nelle casse dello stato. L’operazione è chiaramente finalizzata a salvaguardare un pezzo importante del bacino elettorale delle destre ai danni della collettività.
Per le famiglie sono previste le solite elemosine di stato destinate ad alimentare le politiche familistiche. 3,5 miliardi di euro in 3 anni per il pacchetto famiglia costituito da vari bonus asilo, nuove nascite, mamma, mobili, carta dedicata a te emanati, si dice, per sostenere il reddito e la natalità. In realtà, anche per la durata annuale, non affrontano strutturalmente il problema dei redditi insufficienti, ma servono egregiamente ai fini di consenso elettorale.
Un’altra serie di tagli riguarda i ministeri che subiranno una riduzione di risorse di 3 miliardi e 200 milioni in tre anni con tagli conseguenti su ambiti importanti come i trasporti pubblici (meno 524,9 milioni nel 2026), Ambiente e Sicurezza Energetica (meno 376,7 milioni), Istruzione e Merito (141,4 milioni) e Cultura (78,5 milioni).
La cosa drammatica è che la gran parte di queste scelte austeritarie che riducono la spesa pubblica è riconducibile a orientamenti condivisi sia dai partiti di governo, sia da quelli dell’opposizione del centrosinistra: il sostanziale consenso al nuovo patto di stabilità europeo che punta a ridurre il debito con avanzi primari che devastano la società e l’economia, il rifiuto di un fisco giusto a partire dal no alla tassazione delle grandi ricchezze e infine il consenso bipartisan alle spese militari.
Nei prossimi 3 anni sono previsti circa 22 miliardi di spese per le armi, un primo assaggio dell’enorme aumento di spese militari previste in aumento fino al 5% del PIL entro in 2035. Per arrivare alla quota concordata in sede Nato, l’Italia spenderà 963 miliardi nel decennio 2025-2035, ovvero 395 in più rispetto a oggi. Come? Con più austerità e più tagli alle spese sociali, quasi 400 miliardi in meno nei prossimi 10 anni.
In questa situazione lo sciopero generale è giusto è necessario e va sostenuto perché diventi più partecipato possibile. Lo schieramento avverso al lavoro e ai ceti popolari è enorme e determinato a non concedere nulla, anzi il governo irride ai sindacati e prepara norme sicuritarie sempre più pesanti. Perfino chi in questi anni si è illuso sulla concertazione è chiamato a rendersi conto che quella fase è definitivamente finita e a misurarsi con la capacità di fare un grande salto di qualità nella capacità di mettere in campo lotte e mobilitazioni all’altezza dello scontro.
Le grandiose giornate dell’inizio di ottobre sono sicuramente nate in rapporto all’indignazione per il genocidio del popolo palestinese, ma un grande ruolo ha sicuramente giocato la scelta unitaria di Cgil e sindacati di base su cui si è innestata la mobilitazione unitaria di movimenti, studenti, giovani donne anche fuori dalle forze organizzate.
La percezione di poter uscire dallo stato di divisione, separatezza, parcellizzazione delle lotte degli ultimi anni ha dato una spinta consistente alla partecipazione di singoli e gruppi che insieme hanno fatto la marea di quelle giornate. Purtroppo, tra novembre e dicembre sono stati indetti due scioperi generali separati, una dinamica già evidente nella rinuncia di tutti i sindacati ad avviare un percorso unitario con i movimenti e tra loro nei giorni successivi al tre ottobre.
Per questo, così come abbiamo fatto per lo sciopero dei sindacati di base del 28 novembre chiediamo a tutte e tutti di partecipare allo sciopero del 12 dicembre. Ma restiamo fermamente convinti che a partire dal 12 sia necessario l’impegno di tutti per ricostruire lo spirito del 3 ottobre che ha visto le forze sindacali unite e sosteniamo l’iniziativa di quei “lavoratori ed Rsu per l’unità d’azione dei lavoratori e sindacati” che hanno raccolto migliaia di firme a sostegno della loro iniziativa.