Salta, per ora, L’emendamento di Fdi, inserito surrettiziamente nel decreto Ilva, sui crediti da lavoro, un nuovo gravissimo attacco ai diritti dei lavoratori.
Ma non stiamo sereni perché lo stesso presentatore ha promesso di reinserirlo in un nuovo decreto o disegno di legge alla prima occasione.
Chiarisco il contenuto e la ratio di questa proposta affinché si colga fino in fondo l’attacco al lavoro che contiene e il suo carattere anticostituzionale e ci teniamo pronti a contrastarlo come merita.
Il provvedimento Introduce un principio in base al quale le lavoratrici e i lavoratori sarebbero costretti per rivendicare differenze retributive dovute e non gli sono state riconosciute dal padrone (straordinari non pagati sotto inquadramento eccetera) a richiederle mentre sono ancora al lavoro per evitarne la prescrizione.
Si tratta di un vergognoso colpo di mano in contrasto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Cassazione in materia di tutela dei crediti dei lavoratori, che proprio in considerazione della ricattabilità dei lavoratori, cadute le tutele dell’art. 18, aveva stabilito che si possono rivendicare tutte le differenze retributive maturate in corso di rapporto entro cinque anni dalla cessazione del rapporto stesso.
Non basta nello stesso emendamento è contenuto un attacco al diritto costituzionale, ribadito recentemente dalla Corte di Cassazione, a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e comunque sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia una vita libera e dignitosa.
Si stabilisce infatti che non si potrebbe contestare la retribuzione ricevuta se non nei casi di “grave inadeguatezza dello standard stabilito dal contratto collettivo” .
Ma c’è ancora di peggio! Anche nel caso in cui un giudice dovesse accertare la “grave inadeguatezza della retribuzione rispetto a livelli minimi di sufficienza e proporzionalità , il lavoratore non potrà ottenere le differenze retributive maturate prima dell’invio della lettera con cui interrompe la prescrizione, ma solo quelle successive. Un vero e proprio colpo di spugna su tutte quelle cause, alcune ancora in corso, con cui migliaia di lavoratori chiedono un risarcimento per anni di retribuzioni considerate insufficienti a garantire loro un’esistenza libera e dignitosa.
Un nuovo atto dell’arroganza del potere nello stile del Jobs Act di Renzi: si riconosce l’illegittimità di un fatto ai danni dei lavoratori ma non ricevono giustizia.
Un nuovo grande regalo alle imprese violando il diritto e la Costituzione.