IL Capodanno della scuola

Con il suono della prima campanella il cuore della scuola è tornato a pulsare tra sentimenti contrastanti e scambio di auguri di buon anno scolastico. E’ il capodanno della scuola  che  solo chi lo percorre o lo ricorda può sentirlo come bello, reale e vivo. E lo odia con gramsciana ragione.

 Dal palco del  meeting di Rimini il Ministro Valditara ci fa sapere che nella nostra scuola va tutto bene e ci rassicura che  le recenti  riforme, sfornate in pochi mesi, andranno a colpire quelli che a suo avviso sono i soli e veri  mali della scuola pubblica: i cellulari, i ragazzi discoli, i soliti  fannulloni e il testardo amore delle giovani generazioni  per i diritti e non per il  lavoro. Evidentemente per il Ministro tra lavoro e diritti vi è antitesi. La ricetta è semplice quanto indigesta: rigore, divieti, rispetto e fatica.

Ecco ben delineato il profilo di una scuola dell’addestramento ad un mercato del lavoro povero e sfruttato e che usa il pugno di ferro per espellere chi per diverse ragioni non si adegua. La scuola  della meritocrazia, dell’ingresso a gamba tesa di settori economici e militari  chiamati ad impartire insegnamenti e valutare, gerarchizzare e frammentare saperi e comunità scolastica. Le richieste e le priorità di riforma avanzate a giugno dalla Confindustria sono state  soddisfatte tutte diligentemente: orientamento lavorativo più efficace, riforma della filiera tecnico-professionale, aggiornamento dei piani di studio, nuovi criteri di selezione dei docenti. La Confindustria chiede e il Ministro da bravo scolaretto risponde prontamente.

Sia ben chiaro però. Se questa svolta reazionaria è oggi possibile è perché trova un terreno arato e concimato da decenni  di controriforme che hanno minato alla radice la scuola della Costituzione svendendola alle logiche del mercato e ai suoi principi regolativi, rendendola così l’avamposto ideologico degli interessi economici e di potere. Un nuovo  linguaggio mutuato dai diversi settori  delle imprese è stato necessario: offerta formativa, competitività, crediti, debiti, prodotti, certificazioni, spendibilità dei saperi. Il  mondo della scuola, ubriacato dalle nuove tecnologie usate per standardizzare, automatizzare conoscenze e prestazioni, si è progressivamente  rassegnato e appare  stanco e sempre meno capace di guardare le questioni nella loro complessa totalità, disponibile  solo ad amministrare l’esistente  e organizzare nel migliore dei modi ciò che passa il convento.

La possibilità per le scuole di fruire di fondi erogati da privati, introdotta con autonomia scolastica,  ha aperto i cancelli della scuola pubblica ad aziende e soggetti esterni che si sono insinuati con il loro potere, salutati peraltro da più parti come benefattori indispensabili in una scuola privata di tutto. E la dipendenza economica si è trasformata, come prevedibile, in ingerenza mediante l’esternalizzazione del processo formativo e valutativo. Enti e associazioni private  si sono erette  come dispensatrici di quella formazione che evidentemente  non si ritiene garantita dai docenti durante le ore disciplinari. Corsi e certificazioni costosissime consentono a coloro che  se le possono  permettere di ottenere crediti e arricchire il curriculum scolastico  mettendo così  in evidenza le disparità sistemiche esistenti tra i banchi di scuola ma anche tra le diverse aree geografiche. E poi, tappa dopo  tappa, ecco  arrivare la Buona scuola che dà il colpo di grazia; il mondo delle imprese inizia a presentare il conto ed esigere manodopera gratuita da formare e plasmare a proprio piacimento. Sono i disastri dell’alternanza scuola lavoro, dell’orientamento gestito  da società esterne anche provenienti dal mondo militare: tutor esterni, esperti, figure terze  girano da una classe all’altra a dispensare saperi e competenze mentre  staff del dirigente e figure strumentali garantiscono la gerarchizzazione del personale  e la morte della collegialità.

Ha avuto gioco facile quindi Valditara a portare a realizzazione trasformazioni pianificate da tempo. La riforma della formazione  degli istituti tecnico-professionali, con l’introduzione della formula 4+2, offre alle aziende ore di docenza e rende possibile anticipare di un anno i percorsi scuola -lavoro, includendo, quindi, studenti e studentesse che ancora non hanno assolto l’obbligo scolastico. Tutto questo in un Paese dove la dispersione scolastica continua ad essere una piaga e gli impressionanti  dati sull’aumento di infortuni e decessi di studenti in alternanza richiederebbe  un immediato passo indietro. Strutture esterne, inoltre, dovranno essere individuate per spedire i discoli che si beccano una sospensione. Nelle scuole entrano le forze armate per orientare  le giovani leve  ma anche per parlare di  educazione stradale, alla salute, dipendenze e cyberbullismo.  La  formazione dei  ragazzi al senso civico dovrà passare per la conoscenza della  cultura d’impresa e l’educazione finanziaria. Dietro la fuffa del benessere scolastico si palesa  una scuola autoritaria, classista che riproduce le disuguaglianze economiche e sociali, una scuola competitiva  dove si  studia per poter lavorare e ottenere successo personale.

La chiamata diretta dei docenti e l’attacco al sacrosanto principio della nomina dell’avente diritto era il sogno proibito della Buona Scuola. Valditara porta a casa la possibilità per le famiglie di richiedere la riconferma degli insegnanti di  sostegno: famiglie che si assumono quindi il compito di valutare e giudicare il docente di turno come un cliente che usufruisce di un  servizio offerto e ne lascia poi una recensione.

La comunità scolastica sa bene che in questi giorni che c’è poco da brindare. Dei  40mila edifici scolastici statali ben 36mila non sono a norma e il 9% del totale è privo delle certificazioni obbligatorie in materia di sicurezza. La maggior parte di questi edifici si trova nel Mezzogiorno dove selvaggio è stato anche l’accorpamento di istituti e il taglio delle risorse: solo questo dato può bastare per comprendere i nefasti risvolti dell’Autonomia differenziata nel mondo scolastico. Si inizia l’anno con meno docenti, si stima un taglio di più di 5000 per l’organico di diritto, più precariato  e cronica  carenza di personale Ata, e socio-sanitario. Aumentano solo le spese per le famiglie e le  risorse destinate alle scuole paritarie di circa 50 milioni di euro rispetto alla cifra già da record toccata lo scorso anno di 750 milioni. Nulla resta per i reali bisogni  di una scuola pubblica  che quotidianamente riversa al suo interno le terribili condizioni economiche e sociali del nostro tempo e che ancora ostinatamente sa di essere il baluardo per la difesa  dei principi della nostra Costituzione.