Il dibattito sulla patrimoniale in Italia è l’ennesimo teatrino dell’ipocrisia politica, con il Partito Democratico (PD) che recita la parte dell’opposizione di facciata pur mantenendo una sostanziale convergenza con le politiche neoliberiste della destra. La recente levata di scudi della CGIL di Maurizio Landini a favore di una “tassa sui super ricchi” ha messo in luce, ancora una volta, la distanza siderale che separa il principale sindacato italiano dal partito che dovrebbe rappresentare l’asse portante del centrosinistra.
La risposta del PD, evasiva e condizionata, è la cartina di tornasole di una mutazione genetica della sinistra italiana, un processo iniziato negli anni Novanta che ha portato all’abiura dei principi cardine di equità sociale e redistribuzione.
La motivazione ufficiale del PD per non sostenere con forza una patrimoniale nazionale è risibile nella sua tattica dilatoria: “Si può fare solo a livello europeo”.
Questa è la classica “pezza a colori” per mascherare una mancanza di coraggio politico e una paura atavica di intaccare i grandi patrimoni. L’argomentazione fa leva sulla presunta mobilità dei capitali, che fuggirebbero da un’Italia con una simile imposta per rifugiarsi in lidi più accoglienti, rendendo la misura inefficace.
Tuttavia, questa logica è un alibi. Sebbene l’armonizzazione fiscale a livello UE sia un obiettivo condivisibile, l’immobilismo nazionale in attesa di un’improbabile decisione unanime europea – che richiederebbe anni di negoziati e supererebbe l’opposizione di paradisi fiscali in house come l’Olanda o l’Irlanda – equivale a una scelta politica precisa: non fare nulla. È un modo per dire “no” senza dirlo esplicitamente, scaricando la responsabilità su un’entità sovranazionale astratta.
La CGIL, al contrario, chiede a gran voce un prelievo straordinario sull’1% più ricco per generare risorse (si parla di decine di miliardi) da destinare al welfare, alla sanità pubblica e alla riduzione delle tasse sui redditi da lavoro e sulle pensioni, in un contesto di crescente povertà e disuguaglianza. La proposta del sindacato è ispirata a modelli concreti, come la tassa minima globale sulle multinazionali o le proposte dell’economista Gabriel Zucman, che dimostrano la fattibilità tecnica di tali misure.
La posizione ondivaga del PD è il frutto avvelenato di un percorso storico che ha visto la sinistra italiana abbandonare progressivamente le sue radici socialiste e operaie per abbracciare il riformismo liberale sino alle derive odierne nonostante la nuova leadership di Schlein. Dagli anni Novanta in poi, con la trasformazione del PDS prima e dei DS poi nel PD, l’idea di conflitto di classe e di redistribuzione radicale della ricchezza è stata messa in soffitta, considerata anacronistica.
Il risultato è un partito che, pur parlando di giustizia sociale nelle retoriche elettoralistiche, si allinea alle politiche economiche che hanno acuito le disparità. La paura di essere etichettati come “comunisti” o “nemici del mercato” ha portato il PD a una subalternità culturale e politica rispetto alla destra.
La Meloni, con la sua retorica populista del “mai la patrimoniale con noi”, detta l’agenda, mentre il PD si contorce in acrobazie dialettiche per non scontentare il suo elettorato più moderato e le élite economiche con cui ha imparato a convivere.
Questa mancanza di coraggio non è solo un errore tattico, ma un tradimento ideologico. In un’epoca di crisi climatica, debito pubblico elevato e servizi essenziali al collasso, tassare i patrimoni più ingenti non è un’eresia ideologica, ma una necessità pragmatica e un imperativo morale.
Il PD ha scelto la strada della cautela e del rinvio, dimostrando di aver smarrito la bussola della solidarietà sociale e di preferire l’autolesionismo politico al coraggio delle proprie idee.
La sinistra, quella vera, non deve balbettare di fronte alle sfide epocali dell’ oggi a partire da quelle drammatiche che la guerra impone.
Non deve certo intrupparsi nelle stanze dove si partoriscono alibi europeisti per non decidere chiaramente a favore della parte di popolazione, che da anni subisce gli esiti del neoliberismo.